lunedì 19 ottobre 2015

Una recensione "alla Miriano" di Siamo in missione...

di Costanza Miriano
La prima volta che ho pensato che ci si potesse fare santi facendo cose normali è stata per me una folgorazione. È successo quando avevo più o meno dieci anni, credo, leggendo Come un piccolo fiore, la storia di santa Teresina di Lisieux raccontata ai bambini. Era (è, a dire il vero, io l’ho comprato ai miei figli una ventina di anni dopo averlo letto) un libro con delle figure bellissime che avevo trovato a casa della zia Teresa, e mi è rimasto impresso a fuoco nella mente, anche perché dovendolo restituire lo avevo letto famelicamente cercando di memorizzarlo.
Mi ricordo come se fosse oggi che lei chiedendosi come da quel suo Carmelo potesse vivere il martirio, la missionarietà, decideva di accogliere tutte le occasioni che la circostanza le offriva per vivere con tutto l’amore di cui fosse capace: prendersi gli schizzi in faccia lavando i fazzoletti accanto a una consorella maldestra, accompagnare la sorella anziana e bisbetica al refettorio, togliere le ragnatele dal chiostro. Fare le cose con amore è la cosa più preziosa agli occhi di Dio, che vuole il nostro cuore, tutto intero. Per questo una giovane suora di clausura è diventata patrona delle missioni, perché Dio ha bisogno dei nostri cinque pani e due pesci, e poi ci pensa lui a moltiplicare. Il problema è che quei cinque pani e i due pesci sono tutto quello che abbiamo, e al momento di lasciarlo andare via fa male. A volte malissimo. Ma poi si diventa fecondi in modo stupefacente, dicono le vite dei santi.
Mi era sembrata una intuizione meravigliosa, ma comunque, mi dicevo da piccola, attuabile meglio in monastero, dove, pensavo, è più facile essere unitari, tutti consegnati a Dio. Solo molti anni dopo ho incontrato Pippo Corigliano, e con lui il carisma dell’Opus Dei, che lui incarna e vive, e insieme sa raccontare e comunicare benissimo, essendo questo, comunicare, il suo lavoro (è un ingegnere, in realtà, ma è napoletano, quindi una specializzazione di ingegneria a sé). L’idea di santificare il lavoro, la vita quotidiana, l’idea che la santità fosse non solo alla portata dei laici, ma anzi dovesse essere il loro obiettivo “normale”, esattamente come per i consacrati, è stata la grande novità portata nella Chiesa da san Josemaria Escrivà, che in questo ha anticipato il Concilio Vaticano II. Di cento anime, ce ne interessano cento, diceva.3Dnn+9_2C_pic_9788804658641-siamo-in-missione-per-conto-di-dio_original
Come la vita, così, cambi completamente prospettiva è il tema del nuovo libro di Pippo Corigliano, che nel frattempo, da quando ci siamo conosciuti per scambiarci i libri con dedica, è diventato praticamente uno di famiglia (se cucino un po’ meglio del solito i miei figli mi chiedono “ma perché non hai invitato Pippo?”, e la risposta è, nel caso in cui non sia invitato, “perché ci sono troppi calzini a terra, mi vergogno”). Si chiama “Siamo in missione per conto di Dio”, ed è pubblicato dalla Mondadori (mica cotiche). La citazione dei Blues Brothers non è casuale: quello è veramente il film preferito di Pippo, e i due fratelli delinquenti e squinternati che vanno in giro con gli occhiali da sole anche di notte e mezzo pacchetto di sigarette giusto per arrivare a Chicago hanno qualcosa in comune con l’elegante ingegnere: il senso dell’umorismo, e la tenace volontà di lavorare per lo stesso Principale. E quando Pippo incontra qualche collega che lavora per lo stesso Principale, cioè qualcuno che con umiltà e amore cerca di santificare il lavoro, di santificarsi nel lavoro, e di santificare gli altri col lavoro, drizza le antenne. Cerca di conoscerlo, di fare amicizia, di fare insieme un pezzo di strada, brevissimo o lungo una vita che sia, l’importante è che a strada porti in Paradiso.
In questo suo ultimo libro c’è quindi prima qualche riflessione – breve, è pur sempre un ingegnere – giusto quello che serve a inquadrare la questione (il lavoro) e a mettere a punto l’atteggiamento migliore da prendere (renderlo proprio il luogo e il mezzo in cui ci si santifica, non quella cosa nonostante la quale si fa il bene). Poi c’è una magnifica galleria di personaggi che provano o hanno provato a vivere la loro chiamata nel mondo prendendo il lavoro con passione, serietà, amore: e si va da Indro Montanelli a zia Lucrezia, dalla signora delle pulizie al direttore generale della Rai (Ettore Bernabei), da Leonardo Mondadori a Susanna Tamaro. Passando, va be’, per me, ma in quel caso Pippo è accecato dall’affetto, che gli rende perdonabile anche il fatto che durante le riunioni di lavoro a Rai Vaticano a volte metto lo smalto (d’altra parte mica ci vuole il cervello per passare una mano di color prugna sulla unghie: solo, non è elegantissimo da parte mia. E adesso la circostanza rimarrà immortalata nei secoli in questo volume: ormai è tardi per chiedere il ritiro delle copie dal commercio?). Comunque, a tutti i complimenti che mi riservano queste pagine va fatta una tara abbondantissima, io lo dico.
Che dire? Le storie raccontate sono appassionanti, sembra di ficcare il naso dietro le quinte di tanti snodi importanti nella storia del nostro paese (Bernabei, Mondadori Montanelli…), oppure nella casa di Susanna Tamaro, nei cuori di persone normali come la signora Pina, di cui Pippo sembra aver carpito il segreto più profondo, e sono certa che l’abbia fatto, non so come, guardando da lontano, con la sua discrezione e il rispetto delle distanze che lo caratterizza. Che poi alla fine a me è questo che interessa: il cuore, la verità delle persone.
Ovviamente nel libro c’è molto di più, ma si sa che ognuno coglie quello che vuole nelle pagine che ha davanti: c’è un excursus della concezione del lavoro nella storia della spiritualità, e nella storia vera e propria, ci sono ritratti di città e realtà diverse, storie di aziende cardine per il nostro paese, come la Rai, l’Olivetti, la Mondadori, ci sono riflessioni sulla professionalità e sulla preparazione, sulla bellezza, sull’umiltà, l’inventiva e la capacità di trovare soluzioni. E ci sono momenti in cui la piccola Teresa di Lisieux torna alla mente, come nelle parole sulla signora Pina, forse la mia preferita: “Mai l’ho sentita lamentarsi per le cose da fare ogni giorno, tutti i giorni, nel servizio del marito e dei figli. E ho sempre presente il suo senso di donazione nel cucinare bene un pranzo, con un’attenta preparazione, con la fettina cotta al momento perché sia mangiata ben calda, col pensiero al piatto preferito di ciascuno. «Mi aiuta l’esempio di chi sa dire di sì fino all’ultimo dettaglio, quando si è stanchi e magari c’è da preparare un vassoietto con una camomilla per qualcuno che sta male. Sono momenti in cui serve un pensiero soprannaturale perché umanamente la voglia sarebbe a zero. “Gesù, voglio preparare questa camomilla per te” e così ci metto quell’ingrediente in più d’affetto. La persona che riceve la camomilla non verrà mai a saperlo. Mi aiuta tanto sapere che Dio mi vede sempre e che conosce le mie tensioni, i miei sforzi”.

Domenica 25 ottobre nell'ambito di "Bookcity" Gianarturo Ferrari presenterà con Pippo C. "Siamo in missione per conto di Dio/La santificazione del lavoro" alle 17 nella libreria Mondadori in Piazza Duomo. I milanesi, e non, sono invitatissimi.


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